Un giorno da ricordare per riflettere
“Il Ministro della famiglia Rosy Bindi il 20 novembre all'Istituto degli Innocenti di Firenze”.
Questa è la notizia della giornata e nient’altro. Né istituzioni, né associazioni che sembrano che hanno “per cuore” la tutela dei bambini, né la scuola “ambiente sociale d’educazione”, ricordano questo giorno.
Fa molta fatica ricordare tutti i giorni da ricordare in un calendario….
La sensibilità di fronte a quello che succede sembra di non essere cosi “sensibile” anche nel Mugello.
Diritti primari alla vita, all'identità, alla salute, diritti sociali all'assistenza, alla protezione contro lo sfruttamento e la violenza; diritti individuali alla libertà d’espressione, alla tutela, alla garanzia giudiziaria; diritti all'educazione.
Diritti…
Diritti…
11 milioni di minori muoiono ogni anno, prima di avere compiuto i 5 anni, per malattie o problemi che potrebbero essere facilmente eliminati: malattie intestinali, polmoniti, e malattie prevenibili con le vaccinazioni come morbillo, pertosse, tetano, difterite, tubercolosi
150 milioni di bambini soffrono di malnutrizione
123 milioni di bambini non hanno mai frequentato la scuola. Di questi, la maggioranza sono bambine
211 milioni di bambini lavorano
600 milioni di bambini, cioè un quarto dei bambini di tutto il mondo, vivono in condizioni di estrema povertà
2 milioni di bambini sono morti, nel corso dello scorso decennio, a causa di conflitti armati
20 milioni sono stati costretti ad abbandonare le loro case
300 mila bambini sono stati reclutati e combattono in diversi paesi africani, asiatici e del Medio Oriente in eserciti regolari e gruppi armati di opposizione
130 milioni di donne hanno subito da bambine mutilazioni sessuali e ogni anno altri due milioni di bambine le subiscono
oltre 1 milione di bambini ogni anno sono vittime dei trafficanti, vengono “comprati” e costretti a subire abusi e sfruttamento
14 milioni di bambini hanno perso la madre, il padre o entrambi i genitori a causa dell’Aids
Sono questi i dati UNICEF sui diritti negati dell’infanzia nel mondo.
· Neonati abbandonati.
· Bimbi uccisi dalle loro “mamme” (da qualche è stato scritto “300 bimbi uccisi dalle mamme in Italia entro un anno”- Sarà vero?!)
· Ragazzo disabile picchiato e filmato dai suoi “compagni”.
· Ragazzi, ragazze stuprati, filmati o uccisi.
· Ragazzi sospesi per una settimana perché hanno tentato di “toccare” una loro compagna di scuola.
· Ragazzi che abbandonano la scuola per diventarsi la preda preferita della malavita.
Fatti che diventano fonti di commenti e polemiche.
Ogni giorno episodi gravi di abusi e violenze sui minori e tra i minori. Hanno i primi posti i titoli sul bullismo tra minori e abusi sui minori, sia nei quotidiani sia nei tg, anche il giorno 20 novembre, che “deve essere” il giorno dei diritti d’infanzia e degli adolescenti.
Il 20 novembre 1989 Assemblea Generale delle Nazione Unite ha approvato la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Sono parte della Convenzione 192 stati. L’Italia ha ratificato la Convenzione il 27 maggio 1991, con la legge n.176.
Per questo 20 Novembre è la Giornata Mondiale dei Diritti dell’Infanzia e degli Adolescenti.
O meglio deve esserla, in quanto molti bambini e molti ragazzi sanno niente.
I bambini e gli adolescenti, nella loro esperienza quotidiana, si confrontano con aspetti di giustizia e ingiustizia, di diritti e responsabilità.
- Ma, quante conoscenze e capacità hanno per comprenderli?
- Quante volte gli abbiamo sentir dire “non è giusto” ?!
I bambini e gli adolescenti non sono solo oggetti di tutela, ma soprattutto dei soggetti di diritti.
Far conoscere ai bambini e agli adolescenti i loro diritti vuol dire anche farli capire i doveri perché sia una infanzia protetta.
E per questo è la responsabilità di tutti ricordare questo Giorno per parlare e riflettere, per progettare percorsi finche concetti chiave come:
diritti, doveri, responsabilità, giustizia, regole, leggi, liberta, autorità, diversità, uguaglianza,
perdano la loro astrazione e diventano proprietà di tutti.
2006/11/18
“Tra passato, presente e futuro”
La Brocchi festeggi il 2° anniversario dell’apertura
“Un bel complesso. Un bel lavoro fatto”.
Si presenta cosi il “Villaggio La Brocchi” per chi torna dopo tanti anni, ma anche per chi del passato del Villaggio sa poco o quasi niente.
Sono stati circa 150 i presenti, tra bambini adulti e persone anziane, operatori, volontari, mugellani e stranieri, che hanno festeggiato insieme il 2° anniversario dell’apertura del centro d’accoglienza.
E’ stato un pomeriggio divertente per i bambini presenti, passato in allegria tra laboratorio ludico e giochi di gruppo in aria aperta animati da volontari dell’associazione.
Visitare il nuovo “Villaggio La Brocchi” ha permesso a tante persone di fermarsi e raccontare “la loro Brocchi”, rivivere quella parte della loro vita e della storia non scritta della Villa.
“Il recupero delle piccole storie di chi ha vissuto nella Villa, delle foto, delle scritte e d’ogni altro genere di testimonianze, ci aiuterà di completare la storia comune di questo posto e trovare i legami tra i valori di ieri e d’oggi e scoprire quelli per il futuro”- spiega il Presidente dell’Associazione, che accompagna gli ospiti, lungo tutto il percorso. Man mano fa conoscere le funzioni del Villaggio, le attività che il Progetto svolge e la prospettiva del futuro.
Una prospettiva chiara e significante quella che il Villaggio presenta, dare risposta al problema dell’immigrazione e soprattutto essere un punto d’incontro.
Un incontro tra la storia del passato, la trasformazione del presente e della costruzione di un futuro possibile e diverso.
Un incontro tra le esperienze positive, l’impegno e serietà di chi crede e condividono questa nuova realtà.
Nel primo piano della Villa gli ospiti hanno visitato la mostra fotografica presentato da un gruppo di ragazzi mugellani, volontari dell’Associazione, sul tema della Pace. La Mostra presenta la loro voce per i diritti umani, per un mondo senza guerra, per un mondo che solo gli occhi di quei bambini fotografati sanno esprimere.
Le proiezioni video sulle attività svolte, al Villaggio, hanno accompagnato i momenti della merenda offerta con prodotti del commercio equo e solidale dall’Associazione “La Escalera” e con dolci e salati di tradizione peruviana, kurdistana e italiana.
Ha celebrato cosi i suoi primi due anni il nuovo “Villaggio La Brocchi” che (come e stato citato in una presentazione di “Giusepe Maria Brocchi” di Lorella Baggiani) si incarna lo spirito proprio dell’antico proprietario, che ebbe il pregio di “trattar gli uomini da uomini”.
(pubblicato "ilgalletto" 18/11/2006)
“Un bel complesso. Un bel lavoro fatto”.
Si presenta cosi il “Villaggio La Brocchi” per chi torna dopo tanti anni, ma anche per chi del passato del Villaggio sa poco o quasi niente.
Sono stati circa 150 i presenti, tra bambini adulti e persone anziane, operatori, volontari, mugellani e stranieri, che hanno festeggiato insieme il 2° anniversario dell’apertura del centro d’accoglienza.
E’ stato un pomeriggio divertente per i bambini presenti, passato in allegria tra laboratorio ludico e giochi di gruppo in aria aperta animati da volontari dell’associazione.
Visitare il nuovo “Villaggio La Brocchi” ha permesso a tante persone di fermarsi e raccontare “la loro Brocchi”, rivivere quella parte della loro vita e della storia non scritta della Villa.
“Il recupero delle piccole storie di chi ha vissuto nella Villa, delle foto, delle scritte e d’ogni altro genere di testimonianze, ci aiuterà di completare la storia comune di questo posto e trovare i legami tra i valori di ieri e d’oggi e scoprire quelli per il futuro”- spiega il Presidente dell’Associazione, che accompagna gli ospiti, lungo tutto il percorso. Man mano fa conoscere le funzioni del Villaggio, le attività che il Progetto svolge e la prospettiva del futuro.
Una prospettiva chiara e significante quella che il Villaggio presenta, dare risposta al problema dell’immigrazione e soprattutto essere un punto d’incontro.
Un incontro tra la storia del passato, la trasformazione del presente e della costruzione di un futuro possibile e diverso.
Un incontro tra le esperienze positive, l’impegno e serietà di chi crede e condividono questa nuova realtà.
Nel primo piano della Villa gli ospiti hanno visitato la mostra fotografica presentato da un gruppo di ragazzi mugellani, volontari dell’Associazione, sul tema della Pace. La Mostra presenta la loro voce per i diritti umani, per un mondo senza guerra, per un mondo che solo gli occhi di quei bambini fotografati sanno esprimere.
Le proiezioni video sulle attività svolte, al Villaggio, hanno accompagnato i momenti della merenda offerta con prodotti del commercio equo e solidale dall’Associazione “La Escalera” e con dolci e salati di tradizione peruviana, kurdistana e italiana.
Ha celebrato cosi i suoi primi due anni il nuovo “Villaggio La Brocchi” che (come e stato citato in una presentazione di “Giusepe Maria Brocchi” di Lorella Baggiani) si incarna lo spirito proprio dell’antico proprietario, che ebbe il pregio di “trattar gli uomini da uomini”.
(pubblicato "ilgalletto" 18/11/2006)
2006/11/07
Non è solo una legge che fa discutere
Media ed immigrazione
“Secondo voi” presenta ogni giorno sulle tre reti Mediaset una micro-inchiesta su temi d'attualità introdotta e commentata con linguaggio semplice e diretto da Paolo Del Debbio.”
Linguaggio semplice di Paolo Del Debbio!
Ma il linguaggio degli intervistati?!
Parlando di immigrazione le tematiche più discusse sono criminalità, irregolarità, violenza, religione e lavoro.
L’ultima micro-inchiesta sul tema, del giorno lunedì 06/11/2006 alle ore 12.15 e in replica verso le ore 01.00, era quella di capire che cosa rispondeva la gente comune alla domanda:
- Bastano 5 anni per conquistare la cittadinanza italiana (proposta della nuova legge)? Si o No
Maggioranza degli intervistati è risposta che 5 anni sono pochi, meglio il tetto di 10 anni (la legge in vigore).
Non è la risposta Si o No che fa impressione è il linguaggio che viene usato e l’effetto che ha su questione immigrazione.
“- Se dimostrano che pagano le tasse e che accettano la nostra cultura posso averla, ma dopo 10 anni.”
“- Se sono educati e pagano le tasse, forse anche 10 anni sono pochi.”
“- Io lavoro con gli extracomunitari, hanno quasi 10 anni e non sanno parlare in italiano.”
Queste sono state quasi le risposte date da molti (maggioranza).
Senza fare polemica sulle tasse che paga lo straniero che, anche dopo tanti anni in Italia con le tasse pagate, c’è il rischio di non avere la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno e di essere espulso o essere un clandestino in più (ultimo caso quella della famiglia Chfouka a Lucca).
Senza fare polemica sulle parole “accettare” e “educazione”, senza fare polemica su quello che le risposte sono dimostrazione di che la Mass Media ha costruito in torno alla figura dell’immigrante, c’è qualcosa più importante che manca.
La voce degli immigranti.
Manca la loro opinione, la loro riflessione e il loro punto di vista per non essere solo oggetti di notizie, ma avere un po’ di spazio per farsi conoscere.
Dopo di che, sarà più facile “tirare conclusioni” (anche per Del Debbio) e giudicare senza puntare il dito su stereotipi e pregiudizi.
"Se voi avete il diritto di dividere il mondo
in italiani e stranieri
allora vi dirò che
io reclamo il diritto di dividere il mondo
in diseredati ed oppressi da un lato,
privilegiati ed oppressori dall'altro.
Gli uni sono la mia patria,
gli altri i miei stranieri" (don Lorenzo Milani)
“Secondo voi” presenta ogni giorno sulle tre reti Mediaset una micro-inchiesta su temi d'attualità introdotta e commentata con linguaggio semplice e diretto da Paolo Del Debbio.”
Linguaggio semplice di Paolo Del Debbio!
Ma il linguaggio degli intervistati?!
Parlando di immigrazione le tematiche più discusse sono criminalità, irregolarità, violenza, religione e lavoro.
L’ultima micro-inchiesta sul tema, del giorno lunedì 06/11/2006 alle ore 12.15 e in replica verso le ore 01.00, era quella di capire che cosa rispondeva la gente comune alla domanda:
- Bastano 5 anni per conquistare la cittadinanza italiana (proposta della nuova legge)? Si o No
Maggioranza degli intervistati è risposta che 5 anni sono pochi, meglio il tetto di 10 anni (la legge in vigore).
Non è la risposta Si o No che fa impressione è il linguaggio che viene usato e l’effetto che ha su questione immigrazione.
“- Se dimostrano che pagano le tasse e che accettano la nostra cultura posso averla, ma dopo 10 anni.”
“- Se sono educati e pagano le tasse, forse anche 10 anni sono pochi.”
“- Io lavoro con gli extracomunitari, hanno quasi 10 anni e non sanno parlare in italiano.”
Queste sono state quasi le risposte date da molti (maggioranza).
Senza fare polemica sulle tasse che paga lo straniero che, anche dopo tanti anni in Italia con le tasse pagate, c’è il rischio di non avere la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno e di essere espulso o essere un clandestino in più (ultimo caso quella della famiglia Chfouka a Lucca).
Senza fare polemica sulle parole “accettare” e “educazione”, senza fare polemica su quello che le risposte sono dimostrazione di che la Mass Media ha costruito in torno alla figura dell’immigrante, c’è qualcosa più importante che manca.
La voce degli immigranti.
Manca la loro opinione, la loro riflessione e il loro punto di vista per non essere solo oggetti di notizie, ma avere un po’ di spazio per farsi conoscere.
Dopo di che, sarà più facile “tirare conclusioni” (anche per Del Debbio) e giudicare senza puntare il dito su stereotipi e pregiudizi.
"Se voi avete il diritto di dividere il mondo
in italiani e stranieri
allora vi dirò che
io reclamo il diritto di dividere il mondo
in diseredati ed oppressi da un lato,
privilegiati ed oppressori dall'altro.
Gli uni sono la mia patria,
gli altri i miei stranieri" (don Lorenzo Milani)
2006/11/03
“Citizen journalism – giornalismo cittadino"
Concludere un percorso per aprire un altro
La redazione multiculturale di “Citizen journalism – giornalismo cittadino” sta percorrendo l’ultima fase del suo percorso formativo. Un percorso intenso e interessante. Le attività svolte hanno ottenuto buoni risultate, come anche il blog dimostra. Il rapporto bilanciato tra la teoria e la pratica ha aiutato l’apprendimento e la concretezza delle tecniche base del giornalismo e in particolar modo del giornalismo cittadino, come l’altro punto di vista della realtà.
Sapere a chi e per chi scrivere, scrivere correttamente un articolo giornalistico, realizzare un’intervista (perché no, anche in lingua inglese), sono alcune delle competenze ottenute dal percorso.
Con una particolare attenzione sono state seguite le attività sulla costruzione del blog del corso http://www.giornalismocittadino.blogspot.com/ e anche le costruzioni dei blog individuali. I blog che hanno dato la possibilità di pubblicare in ogni momento e in completa autonomia i materiali prodotti dal gruppo dei corsisti.
Conoscere il funzionamento della telecamera per usarla correttamente e realizzare un buon filmato è stato interesante e impegnativo.
Divisi in gruppi di lavoro e attrezzati con le telecamere a disposizione, i partecipanti hanno effettuato delle riprese sul tema “Noi e la Pubblica amministrazione”. Nella seconda fase, quella di montaggio, si sono creati dei veri e propri brevi servizi giornalistici, una parte quali ha partecipato a concorsi video come il Premio Mostafà Souhir. I filmati prodotti saranno presto pubblicati nel blog e su dvd.
Il lavoro attento, costruttivo e molto paziente del cordinatore, dei docenti e del tutor ha molto facilitato la partecipazione e il coinvolgimento dei corsisti. Il prossimo passo sarà la progettazione e trovare i fondi per la continuazione del lavoro della redazione.
Adesso occorre rimboccarsi le maniche e incrociare le dita, augurandoci di avere fortuna per continuare questo percorso utile e necessario, per costruire dei mezzi per diffondere la visione multiculturale mancante degli stranieri in Provincia e non solo.
La redazione multiculturale di “Citizen journalism – giornalismo cittadino” sta percorrendo l’ultima fase del suo percorso formativo. Un percorso intenso e interessante. Le attività svolte hanno ottenuto buoni risultate, come anche il blog dimostra. Il rapporto bilanciato tra la teoria e la pratica ha aiutato l’apprendimento e la concretezza delle tecniche base del giornalismo e in particolar modo del giornalismo cittadino, come l’altro punto di vista della realtà.
Sapere a chi e per chi scrivere, scrivere correttamente un articolo giornalistico, realizzare un’intervista (perché no, anche in lingua inglese), sono alcune delle competenze ottenute dal percorso.
Con una particolare attenzione sono state seguite le attività sulla costruzione del blog del corso http://www.giornalismocittadino.blogspot.com/ e anche le costruzioni dei blog individuali. I blog che hanno dato la possibilità di pubblicare in ogni momento e in completa autonomia i materiali prodotti dal gruppo dei corsisti.
Conoscere il funzionamento della telecamera per usarla correttamente e realizzare un buon filmato è stato interesante e impegnativo.
Divisi in gruppi di lavoro e attrezzati con le telecamere a disposizione, i partecipanti hanno effettuato delle riprese sul tema “Noi e la Pubblica amministrazione”. Nella seconda fase, quella di montaggio, si sono creati dei veri e propri brevi servizi giornalistici, una parte quali ha partecipato a concorsi video come il Premio Mostafà Souhir. I filmati prodotti saranno presto pubblicati nel blog e su dvd.
Il lavoro attento, costruttivo e molto paziente del cordinatore, dei docenti e del tutor ha molto facilitato la partecipazione e il coinvolgimento dei corsisti. Il prossimo passo sarà la progettazione e trovare i fondi per la continuazione del lavoro della redazione.
Adesso occorre rimboccarsi le maniche e incrociare le dita, augurandoci di avere fortuna per continuare questo percorso utile e necessario, per costruire dei mezzi per diffondere la visione multiculturale mancante degli stranieri in Provincia e non solo.
2006/10/25
Gli Albanesi in Mugello
Numeri, fatti e la loro integrazione.
1209 stranieri iscritti all’anagrafe di Comune di Borgo San Lorenzo. 500 iscritti di nazionalità albanese.
Numero che cresce ogni anno e che corrisponde, ai ricongiungimenti famigliari, alle costruzioni delle nuove famiglie e alle nascite. Anche a San Piero, Barberino, Scarperia e altre comune la presenza degli albanesi consiste numerosa. Da considerare sono i fatti (citati anche dalle ricerche sul territorio) che nel caso di ricongiungimenti famigliari mai avvenuto che figli sono stati lasciati nel Paese d’origine e che i matrimoni misti sono poco frequenti. Questi fatti confermano l’importanza che hanno la famiglia e le tradizioni, anche se quell’ultimo si può intendere come chiusura o un forte senso di nazionalismo.
L’incontro con la nuova vita, con la nuova cultura e soprattutto con la diffidenza della gente, ha portato molta difficoltà, accompagnate anche con una forma d’isolamento.
Molti albanesi e famiglie albanese che risiedono in Mugello e in particolare a Borgo, sono stati accolti, sostenuti, ed aiutati nel percorso del loro inserimento dall’Associazione “Progetto Accoglienza”, dal progetto “Casa Accoglienza Scarperia”, Caritas di Borgo San Lorenzo e volontari che operano sul territorio.
La Casa d’Accoglienza “Madre dei Semplici” di Via Senni (aperta a Dicembre 1992) e il “Villaggio la Brocchi” (aperto ad Ottobre 2004), gestite dall’Associazione “Progetto Accoglienza” in collaborazione con altri enti, hanno ospitato nelle loro strutture 68 famiglie, per un totale di 222 persone di 20 nazionalità diverse, 6 nuclei famigliari di nazionalità albanese, per un totale di 21 persone (12 adulti e 9 bambini). I percorsi si stabiliscono in base di una procedura da seguire insieme con gli ospiti. Percorsi che, nella difficoltà delle situazioni, hanno semplificato i rapporti con la pubblica amministrazione, i servizi offerti sul territorio e non solo. All’interno del progetto sono stati attivati percorsi individuali che riguardano no pochi minori albanesi, in particolare adolescenti d’età 13-18 anni accompagnati e non.
L’Associazione gestisce per conto della Comunità Montana Mugello il progetto “Percorsi P.I.A.cevoli” che si attiva ogni anno nelle scuole del Mugello. Sono parte di questo progetto interventi interculturali che tendono far conoscere la cultura e la storia albanese e non mancano interventi con singoli alunni albanesi e le loro famiglie.
L’Associazione ha avuto un ruolo importante nell’accogliere, sostenere ed aiutare gli albanesi nei momenti particolari della loro storia immigratoria.
Accogliere le famiglie albanese arrivate dalle situazioni difficili del ’91, ospitare nel ’97 – ’98 le famiglie albanese proveniente dall’Albania e dal Kosovo, non è stato facile progettare percorsi indolori e appropriati alle diversità delle situazioni presentati.
Un'altra struttura importante d’accoglienza per gli albanesi è anche la “Casa Accoglienza Scarperia”.
La “Casa Accoglienza Scarperia” ha ospitato nella sua struttura (rivolta a donne e minori) dalla prima apertura (aprile 1993) 80 cittadini stranieri, 19 di loro di nazionalità albanese con una media di permanenza di 9-10 mesi.
“Ciascuna delle persone si è scontrata con le attuali, pesanti e diffuse difficoltà ad accedere ad una casa e/o ad un lavoro, e ha comunque scontato, oltre alle proprie personali difficoltà, i limiti e le carenze del sistema d’assistenza sociale e di aiuto alla persona e, nel caso degli stranieri, il peso degli svantaggiosi provvedimenti legislativi italiani in materia di immigrazione” (Relazione attività-2006).
Il Progetto della Casa stabilisce dall’inizio con l’ospite un piano d’inserimento o reinserimento, che riguarda l’inserimento scolastico per i minori e non solo, l’inserimento lavorativo, l’inserimento abitativo, sostegno sanitario e altro (secondo i casi).
Attualmente la Casa ospita 8 persone, di cui 5 di nazionalità albanese (2 donne e 3 minori). Impegnati con loro nelle attività del Progetto sono impegnati 12 persone, tutti volontari.
“Nello sforzo di prevenire al massimo le situazioni di disagio sul territorio, la Casa, oltre a cercare l’intesa con i servizi sociali del territorio, ha attivato una collaborazione con il “Villaggio la Brocchi”, con la Casa di prima accoglienza “Madre dei Semplici” a Senni, con l’Associazione Progetto Accoglienza di Borgo San Lorenzo (che gestisce le due strutture sopra nominate), e con il centro d’ascolto “Il Punto” della Misericordia di Scarperia, così da attivare progetti di sostegno anche al di fuori dell’accoglienza effettiva. (Relazione attività-2006).
Una collaborazione che non è e non sarà completa senza una partecipazione cosciente della pubblica amministrazione, delle forze politiche e a tutti quelli che “godono” un posto privilegiato.
Per quanto riguarda l’integrazione, più evidente è l’inserimento nell’ambito lavorativo. Frequente è la presenza degli uomini albanesi nell’edilizia, come dipendenti e autonomi, ma anche come dipendenti nelle diverse aziende e nelle fabbriche.
Le donne lavorano come collaboratrici domestiche, addette alle pulizie nelle aziende e cooperative sociale, al servizio della persona nelle case di cura e nel privato e poche di loro lavorano nelle fabbriche. Lavorare ad ore da loro la possibilità di essere più presente in famiglia, in particolar modo più presente con i figli.
Anche se i dati specifici mancano, un altro fatto da mettere in evidenza è l’istruzione abbastanza elevata di questa gente. Maggior parte ha l’istruzione superiore generale e professionale. Non mancano i titoli universitari e sono la minoranza coloro che possiedono solo la licenza media acquisita nel Paese d’origine o presso il C.T.P di Borgo San Lorenzo. In qualche raro caso ce qualcuno che non ha potuto sostenere gli esami per l’acquisizione della licenza media.
Nel 2004, in 62 corsisti iscritti al C.T.P 10 sono stati di nazionalità albanese.
Nel 2005, in 78 corsisti iscritti, 5 sono stati di nazionalità albanese. Per i Corsi 2006/2007 sono iscritti 5 corsisti di nazionalità albanese, 1 al corso per l’acquisizione della licenza media e 4 al corso di alfabetizzazione (lingua italiana per stranieri), di cui 2 sono donne.
Fa obiettivo da raggiungere la crescita professionale come un aspetto importante per la loro integrazione sociale. Pochissimi sono gli albanesi che svolgono stessa attività lavorativa che esercitavano prima dell’arrivo in Italia, senza parlare per coloro in possesso di un’alta preparazione professionale e quelli laureati, che in parole povere hanno perso quasi tutto. Argomento che mette in discussione sia le leggi in vigore su l’equipollenza dei titoli professionali, sia le opportunità che si presentano, nello specifico, sul territorio.
L’incontro con la “nuova cultura” (quell’italiana) ha portato cambiamenti nello stile di vita delle famiglie albanese – di base una famiglia patriarcale. Il rapporto donna – uomo si è trasformato e si trasforma ogni giorno in un rapporto di collaborazione in tutti aspetti della vita. La donna e più indipendente. Sta cambiando anche il rapporto della “grande famiglia”. Il numero dei nuclei famigliari albanesi iscritti all’anagrafe è in crescita ed è in callo il numero delle famiglie che vivono insieme sotto stesso tetto, un aspetto importante che dimostra che la loro vita non è un “segno di evidente degrado”, ma è un segno di sviluppo anche di trasformazione di mentalità.
Ce da dire che delle case in evidente degrado e in condizioni anti igieniche sono “offerta sul piato d’argento” per gli stranieri e altri bisognosi, senza parlare per il costo d’affitto.
La graduatoria del 2004 (Comune B.S.L) mostra che il punteggio relativo a situazioni di disaggio abitativo – (voce) anti igenicità dell’alloggio riguarda 20 nuclei famigliari di cui 7 nuclei di famiglie straniere (compreso le famiglie albanese).
Non sono pochi i nuclei famigliari albanesi che hanno avuto i punteggi relativi ad affitto oneroso rispetto al reddito e ad assegnazione d’alloggi nelle case popolare.
Le difficoltà sull’acquisizione di una casa che sono presente sia per gli italiani sia per gli stranieri fanno si che il numero delle famiglie albanese che vivono nella casa propria è minimo.
Questi dati dimostrano e nello stesso tempo provano la presenza di una comunità che da tempo ha cambiato il repertorio quotidiano dei mugellani, sperando di costruire un nuovo repertorio insieme.
“Le differenze esistono, possono spiacere, ma possono essere anche positive per questo conviene accettarle”.
Una delle domande che viene fatta spesso è:
- Dopo tutti questi anni in Italia vi sentite più albanesi o più italiani?
Rispondere questa domanda non è facile.
“La struttura sociale del Mugello sta cambiando” – si sente dire spesso.
L’identità mugellana sta cambiando e nello stesso tempo anche quell’albanese. La presenza di “questo straniero” non ha messo in discussione solo l’identità italiana, mugellana e borghigiana ma anche quella sua.
Alla fine ognuno di noi ha la sua identità. Nel tempo (additarsi ai cambiamenti) ne costruisce una nuova che deve essere più ricca, più cosciente nei confronti delle novità e rispettando regole comuni costruisce una vera convivenza pacifica.
In questo processo ci sono anche dei rischi in quanto l’individuo perde la sua “identità d’origine” e la “coscienza d’appartenenza”. Comportamenti estremi associano il processo da quello di rifiuto d’identità d’origine e d’appartenenza, ad un confronto bruttale con la nuova realtà.
Episodi di risse, megarisse, agguati che rilevano il nome”albanese” non possono costruire l’identità di una comunità e non possono diventare causa di conflitti.
Praticare nella quotidianità la “vera integrazione” è la soluzione giusta che ha bisogno per la partecipazione di tutti.
Come viene sottolineata nella carta d’identità di “Villaggio la Brocchi”, serve una “integrazione che implichi reciprocità, non omologazione e che preveda il rispetto dei diritti di tutti e l’assunzione dei doveri da parte di tutti”.
Credere nella vera integrazione, in pratica nell’accettazione totale (culturale, sociale, politico) dell’altro è apposta al rifiuto, all’assimilazione, ossia alla perdita d’identità. Accettare culturalmente l’altro vuol dire conoscere la sua cultura, la sua mentalità, le sue tradizioni, le sue abitudini comuni e quelle differente.
“Noi l’abbiamo accettato – rispondono tanti albanesi - conviviamo ogni giorno con la cultura, le tradizioni e abitudini degli italiani. Ci sforziamo di parlare bene italiano e tante volte dimenticando parliamo anche con i nostri figli in italiano”.
Si dimentica nella “rutin” della giornata, ma chi ha mai pensato che quei figli hanno il diritto di studiare la loro lingua d’origine e la loro cultura d’appartenenza (?!).
Qualche anno fa, sulle pagine del “galletto”, una ricerca svolta nelle scuole superiore di Borgo sottolineava che rapporti tra adolescenti e giovani italiani e stranieri non erano molto frequenti. Niente è cambiato. Succede cosi anche tra adulti.
Paura, diffidenza o debolezza da parte di entrambi.
L’altro aspetto importante d’integrazione è l’accettazione politico. Concetto non molto difficile da spiegare che da attivare.
Una possibile politica multiculturale locale che valorizza e sostiene le identità culturali (le proprie ed altrui) mostra la volontà di riconoscere il pluralismo della società.
Una possibile politica multiculturale aiuterà che la questione “immigrazione – integrazione” non si affronta più come crisi d’identità e particolarmente no per fare polemiche politiche.
La “fatica di integrarsi” ci tocca tutti.
1209 stranieri iscritti all’anagrafe di Comune di Borgo San Lorenzo. 500 iscritti di nazionalità albanese.
Numero che cresce ogni anno e che corrisponde, ai ricongiungimenti famigliari, alle costruzioni delle nuove famiglie e alle nascite. Anche a San Piero, Barberino, Scarperia e altre comune la presenza degli albanesi consiste numerosa. Da considerare sono i fatti (citati anche dalle ricerche sul territorio) che nel caso di ricongiungimenti famigliari mai avvenuto che figli sono stati lasciati nel Paese d’origine e che i matrimoni misti sono poco frequenti. Questi fatti confermano l’importanza che hanno la famiglia e le tradizioni, anche se quell’ultimo si può intendere come chiusura o un forte senso di nazionalismo.
L’incontro con la nuova vita, con la nuova cultura e soprattutto con la diffidenza della gente, ha portato molta difficoltà, accompagnate anche con una forma d’isolamento.
Molti albanesi e famiglie albanese che risiedono in Mugello e in particolare a Borgo, sono stati accolti, sostenuti, ed aiutati nel percorso del loro inserimento dall’Associazione “Progetto Accoglienza”, dal progetto “Casa Accoglienza Scarperia”, Caritas di Borgo San Lorenzo e volontari che operano sul territorio.
La Casa d’Accoglienza “Madre dei Semplici” di Via Senni (aperta a Dicembre 1992) e il “Villaggio la Brocchi” (aperto ad Ottobre 2004), gestite dall’Associazione “Progetto Accoglienza” in collaborazione con altri enti, hanno ospitato nelle loro strutture 68 famiglie, per un totale di 222 persone di 20 nazionalità diverse, 6 nuclei famigliari di nazionalità albanese, per un totale di 21 persone (12 adulti e 9 bambini). I percorsi si stabiliscono in base di una procedura da seguire insieme con gli ospiti. Percorsi che, nella difficoltà delle situazioni, hanno semplificato i rapporti con la pubblica amministrazione, i servizi offerti sul territorio e non solo. All’interno del progetto sono stati attivati percorsi individuali che riguardano no pochi minori albanesi, in particolare adolescenti d’età 13-18 anni accompagnati e non.
L’Associazione gestisce per conto della Comunità Montana Mugello il progetto “Percorsi P.I.A.cevoli” che si attiva ogni anno nelle scuole del Mugello. Sono parte di questo progetto interventi interculturali che tendono far conoscere la cultura e la storia albanese e non mancano interventi con singoli alunni albanesi e le loro famiglie.
L’Associazione ha avuto un ruolo importante nell’accogliere, sostenere ed aiutare gli albanesi nei momenti particolari della loro storia immigratoria.
Accogliere le famiglie albanese arrivate dalle situazioni difficili del ’91, ospitare nel ’97 – ’98 le famiglie albanese proveniente dall’Albania e dal Kosovo, non è stato facile progettare percorsi indolori e appropriati alle diversità delle situazioni presentati.
Un'altra struttura importante d’accoglienza per gli albanesi è anche la “Casa Accoglienza Scarperia”.
La “Casa Accoglienza Scarperia” ha ospitato nella sua struttura (rivolta a donne e minori) dalla prima apertura (aprile 1993) 80 cittadini stranieri, 19 di loro di nazionalità albanese con una media di permanenza di 9-10 mesi.
“Ciascuna delle persone si è scontrata con le attuali, pesanti e diffuse difficoltà ad accedere ad una casa e/o ad un lavoro, e ha comunque scontato, oltre alle proprie personali difficoltà, i limiti e le carenze del sistema d’assistenza sociale e di aiuto alla persona e, nel caso degli stranieri, il peso degli svantaggiosi provvedimenti legislativi italiani in materia di immigrazione” (Relazione attività-2006).
Il Progetto della Casa stabilisce dall’inizio con l’ospite un piano d’inserimento o reinserimento, che riguarda l’inserimento scolastico per i minori e non solo, l’inserimento lavorativo, l’inserimento abitativo, sostegno sanitario e altro (secondo i casi).
Attualmente la Casa ospita 8 persone, di cui 5 di nazionalità albanese (2 donne e 3 minori). Impegnati con loro nelle attività del Progetto sono impegnati 12 persone, tutti volontari.
“Nello sforzo di prevenire al massimo le situazioni di disagio sul territorio, la Casa, oltre a cercare l’intesa con i servizi sociali del territorio, ha attivato una collaborazione con il “Villaggio la Brocchi”, con la Casa di prima accoglienza “Madre dei Semplici” a Senni, con l’Associazione Progetto Accoglienza di Borgo San Lorenzo (che gestisce le due strutture sopra nominate), e con il centro d’ascolto “Il Punto” della Misericordia di Scarperia, così da attivare progetti di sostegno anche al di fuori dell’accoglienza effettiva. (Relazione attività-2006).
Una collaborazione che non è e non sarà completa senza una partecipazione cosciente della pubblica amministrazione, delle forze politiche e a tutti quelli che “godono” un posto privilegiato.
Per quanto riguarda l’integrazione, più evidente è l’inserimento nell’ambito lavorativo. Frequente è la presenza degli uomini albanesi nell’edilizia, come dipendenti e autonomi, ma anche come dipendenti nelle diverse aziende e nelle fabbriche.
Le donne lavorano come collaboratrici domestiche, addette alle pulizie nelle aziende e cooperative sociale, al servizio della persona nelle case di cura e nel privato e poche di loro lavorano nelle fabbriche. Lavorare ad ore da loro la possibilità di essere più presente in famiglia, in particolar modo più presente con i figli.
Anche se i dati specifici mancano, un altro fatto da mettere in evidenza è l’istruzione abbastanza elevata di questa gente. Maggior parte ha l’istruzione superiore generale e professionale. Non mancano i titoli universitari e sono la minoranza coloro che possiedono solo la licenza media acquisita nel Paese d’origine o presso il C.T.P di Borgo San Lorenzo. In qualche raro caso ce qualcuno che non ha potuto sostenere gli esami per l’acquisizione della licenza media.
Nel 2004, in 62 corsisti iscritti al C.T.P 10 sono stati di nazionalità albanese.
Nel 2005, in 78 corsisti iscritti, 5 sono stati di nazionalità albanese. Per i Corsi 2006/2007 sono iscritti 5 corsisti di nazionalità albanese, 1 al corso per l’acquisizione della licenza media e 4 al corso di alfabetizzazione (lingua italiana per stranieri), di cui 2 sono donne.
Fa obiettivo da raggiungere la crescita professionale come un aspetto importante per la loro integrazione sociale. Pochissimi sono gli albanesi che svolgono stessa attività lavorativa che esercitavano prima dell’arrivo in Italia, senza parlare per coloro in possesso di un’alta preparazione professionale e quelli laureati, che in parole povere hanno perso quasi tutto. Argomento che mette in discussione sia le leggi in vigore su l’equipollenza dei titoli professionali, sia le opportunità che si presentano, nello specifico, sul territorio.
L’incontro con la “nuova cultura” (quell’italiana) ha portato cambiamenti nello stile di vita delle famiglie albanese – di base una famiglia patriarcale. Il rapporto donna – uomo si è trasformato e si trasforma ogni giorno in un rapporto di collaborazione in tutti aspetti della vita. La donna e più indipendente. Sta cambiando anche il rapporto della “grande famiglia”. Il numero dei nuclei famigliari albanesi iscritti all’anagrafe è in crescita ed è in callo il numero delle famiglie che vivono insieme sotto stesso tetto, un aspetto importante che dimostra che la loro vita non è un “segno di evidente degrado”, ma è un segno di sviluppo anche di trasformazione di mentalità.
Ce da dire che delle case in evidente degrado e in condizioni anti igieniche sono “offerta sul piato d’argento” per gli stranieri e altri bisognosi, senza parlare per il costo d’affitto.
La graduatoria del 2004 (Comune B.S.L) mostra che il punteggio relativo a situazioni di disaggio abitativo – (voce) anti igenicità dell’alloggio riguarda 20 nuclei famigliari di cui 7 nuclei di famiglie straniere (compreso le famiglie albanese).
Non sono pochi i nuclei famigliari albanesi che hanno avuto i punteggi relativi ad affitto oneroso rispetto al reddito e ad assegnazione d’alloggi nelle case popolare.
Le difficoltà sull’acquisizione di una casa che sono presente sia per gli italiani sia per gli stranieri fanno si che il numero delle famiglie albanese che vivono nella casa propria è minimo.
Questi dati dimostrano e nello stesso tempo provano la presenza di una comunità che da tempo ha cambiato il repertorio quotidiano dei mugellani, sperando di costruire un nuovo repertorio insieme.
“Le differenze esistono, possono spiacere, ma possono essere anche positive per questo conviene accettarle”.
Una delle domande che viene fatta spesso è:
- Dopo tutti questi anni in Italia vi sentite più albanesi o più italiani?
Rispondere questa domanda non è facile.
“La struttura sociale del Mugello sta cambiando” – si sente dire spesso.
L’identità mugellana sta cambiando e nello stesso tempo anche quell’albanese. La presenza di “questo straniero” non ha messo in discussione solo l’identità italiana, mugellana e borghigiana ma anche quella sua.
Alla fine ognuno di noi ha la sua identità. Nel tempo (additarsi ai cambiamenti) ne costruisce una nuova che deve essere più ricca, più cosciente nei confronti delle novità e rispettando regole comuni costruisce una vera convivenza pacifica.
In questo processo ci sono anche dei rischi in quanto l’individuo perde la sua “identità d’origine” e la “coscienza d’appartenenza”. Comportamenti estremi associano il processo da quello di rifiuto d’identità d’origine e d’appartenenza, ad un confronto bruttale con la nuova realtà.
Episodi di risse, megarisse, agguati che rilevano il nome”albanese” non possono costruire l’identità di una comunità e non possono diventare causa di conflitti.
Praticare nella quotidianità la “vera integrazione” è la soluzione giusta che ha bisogno per la partecipazione di tutti.
Come viene sottolineata nella carta d’identità di “Villaggio la Brocchi”, serve una “integrazione che implichi reciprocità, non omologazione e che preveda il rispetto dei diritti di tutti e l’assunzione dei doveri da parte di tutti”.
Credere nella vera integrazione, in pratica nell’accettazione totale (culturale, sociale, politico) dell’altro è apposta al rifiuto, all’assimilazione, ossia alla perdita d’identità. Accettare culturalmente l’altro vuol dire conoscere la sua cultura, la sua mentalità, le sue tradizioni, le sue abitudini comuni e quelle differente.
“Noi l’abbiamo accettato – rispondono tanti albanesi - conviviamo ogni giorno con la cultura, le tradizioni e abitudini degli italiani. Ci sforziamo di parlare bene italiano e tante volte dimenticando parliamo anche con i nostri figli in italiano”.
Si dimentica nella “rutin” della giornata, ma chi ha mai pensato che quei figli hanno il diritto di studiare la loro lingua d’origine e la loro cultura d’appartenenza (?!).
Qualche anno fa, sulle pagine del “galletto”, una ricerca svolta nelle scuole superiore di Borgo sottolineava che rapporti tra adolescenti e giovani italiani e stranieri non erano molto frequenti. Niente è cambiato. Succede cosi anche tra adulti.
Paura, diffidenza o debolezza da parte di entrambi.
L’altro aspetto importante d’integrazione è l’accettazione politico. Concetto non molto difficile da spiegare che da attivare.
Una possibile politica multiculturale locale che valorizza e sostiene le identità culturali (le proprie ed altrui) mostra la volontà di riconoscere il pluralismo della società.
Una possibile politica multiculturale aiuterà che la questione “immigrazione – integrazione” non si affronta più come crisi d’identità e particolarmente no per fare polemiche politiche.
La “fatica di integrarsi” ci tocca tutti.
2006/06/26
“Citizen Journalism – Giornalismo Cittadino”
Percorso formativo sul giornalismo di base per la cittadinanza attiva multiculturale.
“Citizen Journalism – Giornalismo Cittadino” è un percorso formativo iniziato da più di un mese negli ambienti del “Stazione di Confine” Centro di cultura e di arte, di formazione e di comunicazione.
Il corso ha per ideatori le associazioni stranieri Pro Colombia e Amalipe Romanò, il Consiglio degli stranieri, l’associazione Eurotrain, Rete di Indra Onlus, Gli Aneli Mancanti Onlus, Cospe Onlus, Agenzia Metamorfosi, Arcoiris TV e Veb accademia europea.
Sostengono il progetto Comune di Firenze, Assessorato Pubblica Istruzione e Politiche Giovanile, Consiglio di Quartiere 4 e l’Assessorato Terzo Settore, Accoglienza e Integrazione. Il corso “Citizen Journalism – Giornalismo Cittadino” sarà svolto in 150 ore di formazione. I laboratori che saranno seguiti:
- lingua inglese
- informatica e pubblicazione sul web
- dentro la notizia (linguaggio e tecnica della media).
- giornalismo cittadino multiculturale
- produzione video
- fund raising (ricerca finanziamenti)
- bilancio delle competenze,
daranno via alla nascita della prima redazione multietnica fiorentina.
I 15 aspiranti “giornalisti dal basso” appartengono varie minoranze etniche. Sono 15 giovani e giovane, donne e uomini, parte della cittadinanza attiva multiculturale presente in Toscana, provenienti; dalla Albania, Polonia, Guinea, Colombia; dal Congo, Benin, Perù, Brasile, Iran.
In questo gruppo di aspiranti giornalisti fanno parte anche due donne immigrate residente in Mugello, una di etnia iraniana e l’altra di etnia albanese.
La costituzione di questa redazione multietnica è un nuovo “strumento” d’informazione che aprirà il mondo professionale del giornalismo alle esigenze e alle idee delle minoranze etniche, culturali ed economiche. Questa redazione sarà la “nuova voce” della libertà d’informazione e di critica per i cittadini migrati dell’area toscana. Con questo, il giornalista cittadino (minoritario in questo caso) non sarà più uno spettatore di fronte alle notizie e alle cronache. Ma, condividerà le proprie informazioni e osservazioni ben approfondite, occupando il posto del catalizzatore nel processo di una vera integrazione sociale delle minoranze etniche.
Alla fine del corso la redazione avrà il suo webblog, realizzerà un notiziario on-line con articoli, commenti, argomenti approfonditi interessati a tutti i cittadini minoritari e non.
“Citizen Journalism – Giornalismo Cittadino” è un percorso formativo iniziato da più di un mese negli ambienti del “Stazione di Confine” Centro di cultura e di arte, di formazione e di comunicazione.
Il corso ha per ideatori le associazioni stranieri Pro Colombia e Amalipe Romanò, il Consiglio degli stranieri, l’associazione Eurotrain, Rete di Indra Onlus, Gli Aneli Mancanti Onlus, Cospe Onlus, Agenzia Metamorfosi, Arcoiris TV e Veb accademia europea.
Sostengono il progetto Comune di Firenze, Assessorato Pubblica Istruzione e Politiche Giovanile, Consiglio di Quartiere 4 e l’Assessorato Terzo Settore, Accoglienza e Integrazione. Il corso “Citizen Journalism – Giornalismo Cittadino” sarà svolto in 150 ore di formazione. I laboratori che saranno seguiti:
- lingua inglese
- informatica e pubblicazione sul web
- dentro la notizia (linguaggio e tecnica della media).
- giornalismo cittadino multiculturale
- produzione video
- fund raising (ricerca finanziamenti)
- bilancio delle competenze,
daranno via alla nascita della prima redazione multietnica fiorentina.
I 15 aspiranti “giornalisti dal basso” appartengono varie minoranze etniche. Sono 15 giovani e giovane, donne e uomini, parte della cittadinanza attiva multiculturale presente in Toscana, provenienti; dalla Albania, Polonia, Guinea, Colombia; dal Congo, Benin, Perù, Brasile, Iran.
In questo gruppo di aspiranti giornalisti fanno parte anche due donne immigrate residente in Mugello, una di etnia iraniana e l’altra di etnia albanese.
La costituzione di questa redazione multietnica è un nuovo “strumento” d’informazione che aprirà il mondo professionale del giornalismo alle esigenze e alle idee delle minoranze etniche, culturali ed economiche. Questa redazione sarà la “nuova voce” della libertà d’informazione e di critica per i cittadini migrati dell’area toscana. Con questo, il giornalista cittadino (minoritario in questo caso) non sarà più uno spettatore di fronte alle notizie e alle cronache. Ma, condividerà le proprie informazioni e osservazioni ben approfondite, occupando il posto del catalizzatore nel processo di una vera integrazione sociale delle minoranze etniche.
Alla fine del corso la redazione avrà il suo webblog, realizzerà un notiziario on-line con articoli, commenti, argomenti approfonditi interessati a tutti i cittadini minoritari e non.
2006/05/14
Il nostro Marzo.
(Marzo degli albanesi).
Marzo 1991
Chi, di noi, può dimenticare quei giorni?
Giorni che hanno cambiato per sempre il nostro destino.
Si, si, il destino.
FUGGIRE, FUGGIRE, solo FUGGIRE.
Ho sentito qualcuno che diceva: “- Non voglio mai più vedere questa terra”.
Un altro che rispondeva: ”-Voglio solo passare il mare e dopo so io che faccio”…
Ho visto da lontano due miei amici che correvano, correvano per prendere la nave, correvano per andare via, per fuggire. Solo per un momento gli occhi miei si sono incontrati con gli occhi di uno di loro (era più di un amico). Non posso dimenticarli.
Gli occhi miei domandavano:
- Ma dove andate?
Gli occhi suoi mi dicevano:
- Ma, tu che fai?
E nessuno sapeva rispondere…
Passavano i giorni, le settimane e le strade della mia città erano ancora più vuote.
Un vuoto, per la mancanza di coloro si n’erano andati.
Un vuoto, causato da coloro, che, chiusi nelle case sentivano le notizie dai telegiornali nazionali e stranieri.
Un vuoto, che rimarrà per sempre nella nostra coscienza.
Ho visto, in quei giorni, tante facce silenziose, tanti occhi rossi dal pianto.
Ho visto, anche le vetrine dei negozi abbandonati. Mancavano “loro”, che ridevano forte – forte, anche per una piccola cosa. Mancavano “loro”, che osservavano le ragazze quando passeggiavano lungo il mare. Mancavano loro, che commentavano le novità (anche se erano poche in quei tempi).
FUGGIRE, FUGGIRE solo FUGGIRE.
- Perché questa parola sul trono diventò RE?!
Ho visto, soprattutto in quei giorni, il mare.
Il mio mare.
Quel mare: la bellezza, la gioia, la tristezza, la maledizione della mia città, della mia patria.
Ho visto…
Abbiamo visto…
Abbiamo lasciato andare lacrime per loro che ancora non sappiamo dove sono, domandando: “- Li vedremo, mai…?
I giorni passano, le settimane anche. Passano, così, gli anni.
Qualcuno torna. Sembra che il sogno sia realizzato. Torna, cercando il vecchio amore.
Qualcuno, ancora no, perché così aveva detto, anche se non sa ancora perché (?!).
Qualcuno, manda dei soldi e pacchi pieni di regali.
Qualcuno, manda una lettera scrivendo solo “tre righe”:
“Sto bene.
Aspettami.
Ti amo tanto.”
Qualcuno…
Qualcuno…
Qualcuno…
Ognuno la sua storia.
Qualche volta vera, qualche volta no.
Qualcuno che torna, qualcuno che va, passando quel mare che sa le parole mai dette…
Marzo 1997
Da un po’ di tempo si sente qualcosa (non di buono) in aria…
Anche questa volta è MARZO.
- Come mai, così maledetto, è per noi questo Marzo?
- Come maledetto? – mi dirà qualcuno. – È il mese della primavera, sboccia la vita?!
Nel mio paese, MARZO non è più il mese della primavera, è il mese maledetto, è brutto, è più nero del nero.
La storia comincia a ripetere, e questa volta ci sono tanti colpevoli.
Colpevoli, che saranno sempre condannati dalla nostra storia, dai nostri cuori e nel pianto di chi per sempre ha messo “il velo nero”.
FUGGIRE. FUGGIRE solo FUGGIRE.
Questa volta anche io con gli altri.
Tutti noi.
Noi (senza offendere nessuno), inteletuali del mio paese. Di un paese che non aveva bisogno di “intelletto”.
Eh, certo, bastava l’”intelletto” di LORO…
Questa volta non avevo occhi per nessuno.
Sulla nave eravamo, quasi, tutti conoscenti. Amici degli amici, vicini di casa, amici d’infanzia, compagni di scuola…
Ancora più vuote le strade della mia città.
Non li ho visti, li ho immaginato.
Marzo 1997.
Il più nero Marzo della nostra vita…
Marzo 2004
Quasi ogni Marzo è cosi per me…
Fa brutto tempo fuori, ma anche dentro di me.
Sono sicura di non essere sola a sentirsi così
Sono sicura, che anche coloro che hanno detto. “- Non voglio più vedere questa (quella) terra” e anche quegli altri che rispondevano: “- Voglio passare il mare e dopo so io che faccio” e anche coloro che sono ancora Là, e si sentono male come me.
Marzo 1991.
Marzo 1997.
Marzo che unisce il dolore e la delusione per la vita non vissuta,
Marzo che unisce gli sforzi, i sacrifici, senza, qualche volta, rispondere “Perché?”…
Il mio computer sa quante volte ho cercato di trovare la risposta per questo “Perché?”.
Sì, sì, il mio computer.
Così ho raccolto lettere, storie della nostra storia, come queste che seguiranno il mio sfogo.
Io non ho potuto trovare una risposta, perché penso che sono tante, ma ho anche capito che ci sono tanti miei con nazionali, che cercano delle risposte come me.
Lettera di un ragazzo albanese.
“Sono un ragazzo albanese, vivo a Milano da circa tre anni. Dopo un periodo di lavoro in un bar, adesso frequento una scuola. Ho sempre cercato di integrarmi e anche ora. Con i miei compagni di studio non faccio differenze, come loro non fanno differenze nei miei confronti. Sono straniero, ma soprattutto sono albanese:
- E allora? Che cosa vuoi farmi? Vuoi mandarmi via dall’Italia? Vuoi farti giustizia da solo, come diceva quell’articolo di giornale “Agli albanesi ci pensiamo noi”? Pensi che siamo diversi, come esseri di un altro mondo? O che siamo più cattivi, come scriveva un giornalista, che sì “meravigliava” che tanta cattiveria fosse raccolta in un popolo cosi? E che incolpava Enver Hoxha, che aveva tenuto l’Albania completamente separata dal resto del mondo per cinquant’anni? Ma, non pensa questo giornalista, che spesso uno è costretto a cogliere la prima occasione che gli si presenta davanti? Che uno entra nel giro della delinquenza perché non saprebbe come campare? Che, uno accetta di passare l’Adriatico con gli scafisti perché spesso è l’unica opportunità per arrivare in una Nazione che viene descritta come il Paese di Bengodi?
Io non voglio difendere ad oltranza il mio popolo, né disconoscere le ragioni storiche, che peraltro sono molto più profonde di quelle risalenti al comunismo: dico solo che la questione è molto più complessa di quanto sembra. La questione albanese è diventata un problema per la mentalità italiana, perché è la questione di un popolo piccolo (in tutto siamo di più o di meno 3.500.000), ma molto orgoglioso delle sue radici e che ha una chiara identità nazionale. Questa identità nazionale albanese non è riconducibile ai soliti schemi mentali dell’italiano medio né del giornalista alla moda: non è “europea” almeno nel senso più ovvio del termine; non è né anche slava, perché gli albanesi sono una popolazione autoctona nella loro patria e la nostra lingua non c’entra niente con le lingue slave.
Noi siamo discendenti degli Illiri. Capire l’Albania e le sue radici storico-culturali implicano dunque un impegno, un approfondimento che oggi è sempre più raro trovare, in quanto ci si accontenta di luoghi comuni preconfezionati. Gli albanesi sono un popolo che non solo ha vissuto cinquant’anni di comunismo(di un comunismo peggiore di quello cinese, nel quale si poteva essere ucciso perché si criticavano i prodotti agricoli del regime, per agitazione e per propaganda anticomuniste, o, come mio zio, essere uccisi perché accusati di aver rubato un pezzo di formaggio da un negozio), ma ha combattuto contro i Turchi ai tempi di Skenderbe (Scanderbeg). L’Albania, infatti, era cattolica e lottò vigorosamente contro i musulmani turchi: poi i turchi invasero la Nazione, occupandola per cinque secoli. Questo è confermato dal fatto che i turchi invasero il centro del Paese, islamizzandolo, ma non riuscirono ad islamizzare gli abitanti dell’estremo nord e dell’estremo sud del Paese, che infatti, fino ad oggi sono rimasti cattolici e ortodossi.
Vorrei solo ricordare il mio stupore di quando, appena arrivato a Milano ho visto l’Accademia delle Belle Arti di Brera: era uguale alla mia scuola all’Accademia delle Belle Arti di Tirana, che in fatti è stata costruita dagli italiani negli anni ’39-’42.
Avremo qualche legame che non sappiamo bene che sia? Chi lo può sapere? Posso dirvi solo che dopo la guerra in Albania hanno trovato rifugio tanti italiani che erano stati definiti “disertori”: Noi siamo i “disertori” del ventunesimo secolo!”
di E. K
Lettera da un albanese.
Caro Fratello J!
Non so se merito di essere tuo fratello. Sarebbe un grande onore per me averti mio gemello (sono nato nel Febbraio 1957). Ma… per me Sei più di un fratello gemello, trovato dopo 45 anni di sacrifici enormi.
Se ti avessi trovato 31 anni fa quando mi hanno ucciso mio Papà non avrei sentito cosi tanto il dolore. Dico “ ME L’HANNO UCCISO”, perché il governo non gli ha dato un visto per operarsi in Romania (l’unico paese dove potevano andare i più fortunati per curarsi).
Aveva solo 39 anni. E noi siamo rimasti in quattro. Mamma 35 anni, io (il più grande) 14, mia sorella 11 e il fratello minore 7 anni.
Ho dovuto lasciare la scuola (anche se mi piaceva tanto ed ero tra i migliori), per aiutare la mia mamma che per portare avanti la famiglia mise il “velo nero” sulla faccia e non si è più sposata. Con tanti sacrifici ho seguito contemporaneamente anche la scuola superiore tecnica per finire poi l’Università. Era il sogno del mio Papà che io diventassi un Ingegnere, ed io ho potuto “contentarLo” dopo la morte.
Sono venuto in Italia nel grande esodo del ’97 per trovare “l’AMERICA” insieme con la mia moglie(anche Lei laureata in Economia Commercio) e due bambini 5 e 2 anni. Siamo venuti come quei disgraziati che hanno ucciso ad Ottranto…
Ho cominciato da Zero per i miei figli. Ho fatto il facchino, carpentiere, fresatore, finché, due anni fa, ho trovato Il mio ANGELO. In realtà si chiama A…è uno dei pochissimi Italiani che NON CI DETESTANO.
Pensavo, che nel “paese più emigrato” del mondo non ci saremmo immigrati. Lo ricordo spesso il grande SAADI SHIRAZI, discendente d’Omar Khajam, in “Bocca dolce e bocca miele” che diceva:
“ so quanto soffre il povero orfano,
perché, quando papà l’ho perso,
orfano son’rimasto io stesso”.
Sono rimasto DELUSO fratello.
Ho trovato un’altra realtà…
Ieri ho pianto. Piango spesso fratello. Piango per i miei morti; piango per la mia gioventù: piango per il mio paese: piango quando vedo le persone che soffrono e che muoiono.
Solo tu fratello J puoi dire a quello “Maledetto Genitore Italiano” padre di un’amica di mia nipote, che ha detto a sua figlia “Vorrei uccidere tutti gli Albanesi”, che è un peccato toccare i fiori bianchi della primavera, è un peccato andare a dormire senza domandare a se stessi “cosa ho fatto di sbagliato oggi”. E la mia nipote, fratello J, ha pianto di nascosto solo perché …”LEI è UN ALBANESE”.
Nonostante “le brutte” parole che ho detto nella mia lettera, Io ammiro l’Italia, con tutti i suoi difetti e dico GRAZIE CON TUTTO IL CUORE all’Italia di DANTE, di DA VINCI e di TE fratello J.
MIRE U PAFSHIM. (arrivederci)
E.B. Vicenza.
_ Chi di noi ( albanesi) non si trova in questa lettera?
Anche questa è la nostra storia. La storia della “dittatura” di ieri e della “democrazia” d’oggi…
Il pianto ci fa bene, ci sfoggiamo così. Sfoggiamo la rabbia che c’abbiamo dentro l’anima. Sfoggiamo la delusione, ci liberiamo per fare un bel respiro, che ci darà la forza per andare avanti, per guardare meglio il nostro futuro.
Così, abbiamo qualcosa in più da dare ai nostri figli.
Così, possiamo trovare la forza di raccontarli, sempre, la nostra vita. Così, possiamo trovare le risposte perché quel Genitore italiano “vuole uccidere tutti gli albanesi”. Così possiamo trovare la forza di parlare con Loro, anche dopo che hanno sentito la “cronaca nera” degli albanesi.
Hanno detto di Noi che siamo incivili, che non abbiamo la dignità nazionale.
In tutto che ho scritto non so dove ci manca la civiltà?!
E che non abbiamo dignità nazionale, non posso mandarla giù…
È Marzo 2006
18 Marzo.
9 anni fa, per la prima volta nella mia vita, mi sono vista nei panni di una “disgraziata”.
Uno che lascia la sua terra, la sua casa, le sue cose e i suoi ricordi, uno che fugge e che, ancora oggi, non sa “chi l’ha fatto fare” è veramente un disgraziato, credetemi.
Ma alla fine siamo ancora vivi.
Vivi Noi.
E gli altri?!
Il 28 di questo Marzo, sarà il nono anniversario della tragedia del canale d’Otranto (28 marzo 1997).
Un'altra tragedia da scrivere nella storia del mio popolo.
Bambini, uomini e donne, famiglie intere, che non ci sono più.
Per l’ironia di questo marzo, ancora oggi il processo, che deve verificare le responsabilità della marina militare italiane, è ancora aperto.
7 anni dopo la tragedia (nel 2004), l’associazione Skanderbeg e i famigliari delle vittime hanno proposto, che il 28 Marzo diventi la giornata del immigrato e del profugo.
No, non basta un giorno, ma né anche un mese di Marzo, che qualcuno capisce che cosa è un immigrato, un profugo, un straniero…
Stranieri.
Stranieri di due terre, di due patrie.
Una, la patria dove siamo nati e cresciuti, la patria, che come dice il nostro poeta del rinascimento, il fango è più dolce del miele.
L’altra, dove ci sforziamo di costruire una vita degna per noi e i nostri figli.
Marzo di dolori, di delusioni per la vita non vissuta.
Marzo di ….
Alla fine qualche risposta ce…
Ho voglia di partire
Partire per casa mia.
Casa mia?!
Ma che dico?!
Ma, io sono a casa mia.
Casa mia qua.
Casa mia là.
Mi devo sentire fortunata o …?!
["il galletto" 11 marzo 2006]
(Marzo degli albanesi).
Marzo 1991
Chi, di noi, può dimenticare quei giorni?
Giorni che hanno cambiato per sempre il nostro destino.
Si, si, il destino.
FUGGIRE, FUGGIRE, solo FUGGIRE.
Ho sentito qualcuno che diceva: “- Non voglio mai più vedere questa terra”.
Un altro che rispondeva: ”-Voglio solo passare il mare e dopo so io che faccio”…
Ho visto da lontano due miei amici che correvano, correvano per prendere la nave, correvano per andare via, per fuggire. Solo per un momento gli occhi miei si sono incontrati con gli occhi di uno di loro (era più di un amico). Non posso dimenticarli.
Gli occhi miei domandavano:
- Ma dove andate?
Gli occhi suoi mi dicevano:
- Ma, tu che fai?
E nessuno sapeva rispondere…
Passavano i giorni, le settimane e le strade della mia città erano ancora più vuote.
Un vuoto, per la mancanza di coloro si n’erano andati.
Un vuoto, causato da coloro, che, chiusi nelle case sentivano le notizie dai telegiornali nazionali e stranieri.
Un vuoto, che rimarrà per sempre nella nostra coscienza.
Ho visto, in quei giorni, tante facce silenziose, tanti occhi rossi dal pianto.
Ho visto, anche le vetrine dei negozi abbandonati. Mancavano “loro”, che ridevano forte – forte, anche per una piccola cosa. Mancavano “loro”, che osservavano le ragazze quando passeggiavano lungo il mare. Mancavano loro, che commentavano le novità (anche se erano poche in quei tempi).
FUGGIRE, FUGGIRE solo FUGGIRE.
- Perché questa parola sul trono diventò RE?!
Ho visto, soprattutto in quei giorni, il mare.
Il mio mare.
Quel mare: la bellezza, la gioia, la tristezza, la maledizione della mia città, della mia patria.
Ho visto…
Abbiamo visto…
Abbiamo lasciato andare lacrime per loro che ancora non sappiamo dove sono, domandando: “- Li vedremo, mai…?
I giorni passano, le settimane anche. Passano, così, gli anni.
Qualcuno torna. Sembra che il sogno sia realizzato. Torna, cercando il vecchio amore.
Qualcuno, ancora no, perché così aveva detto, anche se non sa ancora perché (?!).
Qualcuno, manda dei soldi e pacchi pieni di regali.
Qualcuno, manda una lettera scrivendo solo “tre righe”:
“Sto bene.
Aspettami.
Ti amo tanto.”
Qualcuno…
Qualcuno…
Qualcuno…
Ognuno la sua storia.
Qualche volta vera, qualche volta no.
Qualcuno che torna, qualcuno che va, passando quel mare che sa le parole mai dette…
Marzo 1997
Da un po’ di tempo si sente qualcosa (non di buono) in aria…
Anche questa volta è MARZO.
- Come mai, così maledetto, è per noi questo Marzo?
- Come maledetto? – mi dirà qualcuno. – È il mese della primavera, sboccia la vita?!
Nel mio paese, MARZO non è più il mese della primavera, è il mese maledetto, è brutto, è più nero del nero.
La storia comincia a ripetere, e questa volta ci sono tanti colpevoli.
Colpevoli, che saranno sempre condannati dalla nostra storia, dai nostri cuori e nel pianto di chi per sempre ha messo “il velo nero”.
FUGGIRE. FUGGIRE solo FUGGIRE.
Questa volta anche io con gli altri.
Tutti noi.
Noi (senza offendere nessuno), inteletuali del mio paese. Di un paese che non aveva bisogno di “intelletto”.
Eh, certo, bastava l’”intelletto” di LORO…
Questa volta non avevo occhi per nessuno.
Sulla nave eravamo, quasi, tutti conoscenti. Amici degli amici, vicini di casa, amici d’infanzia, compagni di scuola…
Ancora più vuote le strade della mia città.
Non li ho visti, li ho immaginato.
Marzo 1997.
Il più nero Marzo della nostra vita…
Marzo 2004
Quasi ogni Marzo è cosi per me…
Fa brutto tempo fuori, ma anche dentro di me.
Sono sicura di non essere sola a sentirsi così
Sono sicura, che anche coloro che hanno detto. “- Non voglio più vedere questa (quella) terra” e anche quegli altri che rispondevano: “- Voglio passare il mare e dopo so io che faccio” e anche coloro che sono ancora Là, e si sentono male come me.
Marzo 1991.
Marzo 1997.
Marzo che unisce il dolore e la delusione per la vita non vissuta,
Marzo che unisce gli sforzi, i sacrifici, senza, qualche volta, rispondere “Perché?”…
Il mio computer sa quante volte ho cercato di trovare la risposta per questo “Perché?”.
Sì, sì, il mio computer.
Così ho raccolto lettere, storie della nostra storia, come queste che seguiranno il mio sfogo.
Io non ho potuto trovare una risposta, perché penso che sono tante, ma ho anche capito che ci sono tanti miei con nazionali, che cercano delle risposte come me.
Lettera di un ragazzo albanese.
“Sono un ragazzo albanese, vivo a Milano da circa tre anni. Dopo un periodo di lavoro in un bar, adesso frequento una scuola. Ho sempre cercato di integrarmi e anche ora. Con i miei compagni di studio non faccio differenze, come loro non fanno differenze nei miei confronti. Sono straniero, ma soprattutto sono albanese:
- E allora? Che cosa vuoi farmi? Vuoi mandarmi via dall’Italia? Vuoi farti giustizia da solo, come diceva quell’articolo di giornale “Agli albanesi ci pensiamo noi”? Pensi che siamo diversi, come esseri di un altro mondo? O che siamo più cattivi, come scriveva un giornalista, che sì “meravigliava” che tanta cattiveria fosse raccolta in un popolo cosi? E che incolpava Enver Hoxha, che aveva tenuto l’Albania completamente separata dal resto del mondo per cinquant’anni? Ma, non pensa questo giornalista, che spesso uno è costretto a cogliere la prima occasione che gli si presenta davanti? Che uno entra nel giro della delinquenza perché non saprebbe come campare? Che, uno accetta di passare l’Adriatico con gli scafisti perché spesso è l’unica opportunità per arrivare in una Nazione che viene descritta come il Paese di Bengodi?
Io non voglio difendere ad oltranza il mio popolo, né disconoscere le ragioni storiche, che peraltro sono molto più profonde di quelle risalenti al comunismo: dico solo che la questione è molto più complessa di quanto sembra. La questione albanese è diventata un problema per la mentalità italiana, perché è la questione di un popolo piccolo (in tutto siamo di più o di meno 3.500.000), ma molto orgoglioso delle sue radici e che ha una chiara identità nazionale. Questa identità nazionale albanese non è riconducibile ai soliti schemi mentali dell’italiano medio né del giornalista alla moda: non è “europea” almeno nel senso più ovvio del termine; non è né anche slava, perché gli albanesi sono una popolazione autoctona nella loro patria e la nostra lingua non c’entra niente con le lingue slave.
Noi siamo discendenti degli Illiri. Capire l’Albania e le sue radici storico-culturali implicano dunque un impegno, un approfondimento che oggi è sempre più raro trovare, in quanto ci si accontenta di luoghi comuni preconfezionati. Gli albanesi sono un popolo che non solo ha vissuto cinquant’anni di comunismo(di un comunismo peggiore di quello cinese, nel quale si poteva essere ucciso perché si criticavano i prodotti agricoli del regime, per agitazione e per propaganda anticomuniste, o, come mio zio, essere uccisi perché accusati di aver rubato un pezzo di formaggio da un negozio), ma ha combattuto contro i Turchi ai tempi di Skenderbe (Scanderbeg). L’Albania, infatti, era cattolica e lottò vigorosamente contro i musulmani turchi: poi i turchi invasero la Nazione, occupandola per cinque secoli. Questo è confermato dal fatto che i turchi invasero il centro del Paese, islamizzandolo, ma non riuscirono ad islamizzare gli abitanti dell’estremo nord e dell’estremo sud del Paese, che infatti, fino ad oggi sono rimasti cattolici e ortodossi.
Vorrei solo ricordare il mio stupore di quando, appena arrivato a Milano ho visto l’Accademia delle Belle Arti di Brera: era uguale alla mia scuola all’Accademia delle Belle Arti di Tirana, che in fatti è stata costruita dagli italiani negli anni ’39-’42.
Avremo qualche legame che non sappiamo bene che sia? Chi lo può sapere? Posso dirvi solo che dopo la guerra in Albania hanno trovato rifugio tanti italiani che erano stati definiti “disertori”: Noi siamo i “disertori” del ventunesimo secolo!”
di E. K
Lettera da un albanese.
Caro Fratello J!
Non so se merito di essere tuo fratello. Sarebbe un grande onore per me averti mio gemello (sono nato nel Febbraio 1957). Ma… per me Sei più di un fratello gemello, trovato dopo 45 anni di sacrifici enormi.
Se ti avessi trovato 31 anni fa quando mi hanno ucciso mio Papà non avrei sentito cosi tanto il dolore. Dico “ ME L’HANNO UCCISO”, perché il governo non gli ha dato un visto per operarsi in Romania (l’unico paese dove potevano andare i più fortunati per curarsi).
Aveva solo 39 anni. E noi siamo rimasti in quattro. Mamma 35 anni, io (il più grande) 14, mia sorella 11 e il fratello minore 7 anni.
Ho dovuto lasciare la scuola (anche se mi piaceva tanto ed ero tra i migliori), per aiutare la mia mamma che per portare avanti la famiglia mise il “velo nero” sulla faccia e non si è più sposata. Con tanti sacrifici ho seguito contemporaneamente anche la scuola superiore tecnica per finire poi l’Università. Era il sogno del mio Papà che io diventassi un Ingegnere, ed io ho potuto “contentarLo” dopo la morte.
Sono venuto in Italia nel grande esodo del ’97 per trovare “l’AMERICA” insieme con la mia moglie(anche Lei laureata in Economia Commercio) e due bambini 5 e 2 anni. Siamo venuti come quei disgraziati che hanno ucciso ad Ottranto…
Ho cominciato da Zero per i miei figli. Ho fatto il facchino, carpentiere, fresatore, finché, due anni fa, ho trovato Il mio ANGELO. In realtà si chiama A…è uno dei pochissimi Italiani che NON CI DETESTANO.
Pensavo, che nel “paese più emigrato” del mondo non ci saremmo immigrati. Lo ricordo spesso il grande SAADI SHIRAZI, discendente d’Omar Khajam, in “Bocca dolce e bocca miele” che diceva:
“ so quanto soffre il povero orfano,
perché, quando papà l’ho perso,
orfano son’rimasto io stesso”.
Sono rimasto DELUSO fratello.
Ho trovato un’altra realtà…
Ieri ho pianto. Piango spesso fratello. Piango per i miei morti; piango per la mia gioventù: piango per il mio paese: piango quando vedo le persone che soffrono e che muoiono.
Solo tu fratello J puoi dire a quello “Maledetto Genitore Italiano” padre di un’amica di mia nipote, che ha detto a sua figlia “Vorrei uccidere tutti gli Albanesi”, che è un peccato toccare i fiori bianchi della primavera, è un peccato andare a dormire senza domandare a se stessi “cosa ho fatto di sbagliato oggi”. E la mia nipote, fratello J, ha pianto di nascosto solo perché …”LEI è UN ALBANESE”.
Nonostante “le brutte” parole che ho detto nella mia lettera, Io ammiro l’Italia, con tutti i suoi difetti e dico GRAZIE CON TUTTO IL CUORE all’Italia di DANTE, di DA VINCI e di TE fratello J.
MIRE U PAFSHIM. (arrivederci)
E.B. Vicenza.
_ Chi di noi ( albanesi) non si trova in questa lettera?
Anche questa è la nostra storia. La storia della “dittatura” di ieri e della “democrazia” d’oggi…
Il pianto ci fa bene, ci sfoggiamo così. Sfoggiamo la rabbia che c’abbiamo dentro l’anima. Sfoggiamo la delusione, ci liberiamo per fare un bel respiro, che ci darà la forza per andare avanti, per guardare meglio il nostro futuro.
Così, abbiamo qualcosa in più da dare ai nostri figli.
Così, possiamo trovare la forza di raccontarli, sempre, la nostra vita. Così, possiamo trovare le risposte perché quel Genitore italiano “vuole uccidere tutti gli albanesi”. Così possiamo trovare la forza di parlare con Loro, anche dopo che hanno sentito la “cronaca nera” degli albanesi.
Hanno detto di Noi che siamo incivili, che non abbiamo la dignità nazionale.
In tutto che ho scritto non so dove ci manca la civiltà?!
E che non abbiamo dignità nazionale, non posso mandarla giù…
È Marzo 2006
18 Marzo.
9 anni fa, per la prima volta nella mia vita, mi sono vista nei panni di una “disgraziata”.
Uno che lascia la sua terra, la sua casa, le sue cose e i suoi ricordi, uno che fugge e che, ancora oggi, non sa “chi l’ha fatto fare” è veramente un disgraziato, credetemi.
Ma alla fine siamo ancora vivi.
Vivi Noi.
E gli altri?!
Il 28 di questo Marzo, sarà il nono anniversario della tragedia del canale d’Otranto (28 marzo 1997).
Un'altra tragedia da scrivere nella storia del mio popolo.
Bambini, uomini e donne, famiglie intere, che non ci sono più.
Per l’ironia di questo marzo, ancora oggi il processo, che deve verificare le responsabilità della marina militare italiane, è ancora aperto.
7 anni dopo la tragedia (nel 2004), l’associazione Skanderbeg e i famigliari delle vittime hanno proposto, che il 28 Marzo diventi la giornata del immigrato e del profugo.
No, non basta un giorno, ma né anche un mese di Marzo, che qualcuno capisce che cosa è un immigrato, un profugo, un straniero…
Stranieri.
Stranieri di due terre, di due patrie.
Una, la patria dove siamo nati e cresciuti, la patria, che come dice il nostro poeta del rinascimento, il fango è più dolce del miele.
L’altra, dove ci sforziamo di costruire una vita degna per noi e i nostri figli.
Marzo di dolori, di delusioni per la vita non vissuta.
Marzo di ….
Alla fine qualche risposta ce…
Ho voglia di partire
Partire per casa mia.
Casa mia?!
Ma che dico?!
Ma, io sono a casa mia.
Casa mia qua.
Casa mia là.
Mi devo sentire fortunata o …?!
["il galletto" 11 marzo 2006]
Vivere le religioni
Una natura tuttora pulita e vergine di una bellezza eccezionale. Spiagge di sabbia e di ghiaia, coste basse e alte, rocciose e scoscese, bagnate dalle acque marine e lacustre. Un paesaggio montuoso con delle cime alte “nidi delle aquile”. Fonti, fiumi e laghi con “l’acqua cristallina”, fredda e pulita…
Città rumorose che cambiano ogni anno. Gente che migra dalle zone montuose e collinari verso aree urbane. Gente che migra dal suo paese verso l’occidente, come la storia sempre racconta. Una popolazione con l’età media più giovane d’Europa (27 anni)…
È questo il panorama brevissimo d’Albania, il piccolo paese troppo e poco conosciuto.
Poco conosciuto per la sua storia.
La storia di un piccolo popolo sopravvissuto ai “temporali” della storia. Sopravvissuto ai 500 anni di dominio ottomano. Sopravvissuto agli anni del fascismo (5 anni). Sopravvissuto ai 50 anni della dittatura. Una dittatura che, per la crudeltà, è stata ai primi posti. Ricordi che oggi vengono svegliati dai bunker (circa 700 000 – 800 000) che si vedono da per tutto.
La storia di un piccolo popolo che sopravvive ancora oggi.
Ma, la storia di questo piccolo popolo ( abitanti residenti 3.135 000 nel 2005) non può lasciare nel dimenticatoio e senza valutarla una delle “buone caratteristiche” degli albanesi, la tolleranza religiosa.
La convivenza tra religioni, per tutto il percorso storico, è stata ed è un motivo d’orgoglio per il popolo albanese (84% musulmani, 9% ortodossi, 6% cattolici e 1% altri). Una caratteristica, che ha esistito sempre, anche prima del dominio turco, che ha resistito alla dittatura, quando negli anni 1967 – 1969 si reclamava che “dio non esiste”, che con direttive – ordini venivano perseguitati ed eliminati tutti coloro che nella religione avevano trovato se stesso e ad essa avevano dato corpo e anima.
E sono stati tanti…
Oggi tale caratteristica non può rimanere inosservata.
Una caratteristica che permette di accettare l’occidente ed essere accettati dall’occidente.
Gli studiosi e i politici hanno la loro parte in tutto questo.
La tolleranza interreligiosa e la convivenza interreligiosa che ha caratterizzato e caratterizza gli albanesi è da esempio.
Convertirsi da cattolici, in ortodossi (una parte della popolazione del sud) e poi con l’invasione turca, in musulmani, sembra che sia stata la prima scuola di tolleranza.
Che cosa vuol dire tutto questo?
La vita del popolo albanese (in origine di religione cristiana) si ripercorre anche sulla costruzione delle famiglie interreligiose.
Famiglie interreligiose che durante il periodo della dittatura (parlo per la mia generazione) erano di religione laica senza diritti di credenza.
Famiglie interreligiose che oggi sono di religione laica con diritto di credere e di scegliere a quale religione appartenere; come famiglia e come individuo parte della famiglia senza portare conflitti e intolleranze all’interno della famiglia stessa.
Famiglie interreligiose che oggi sono di religione laica che permettono ai loro figli la libera scelta su quella che sarà la loro religione futura.
Una convivenza, questa, non sempre perfetta ma tollerante, perché le differenze esistono e vanno riconosciute. Accettarle conviene per vivere pacificamente.
Lo slogan che ha aiutato, fin ad un certo punto, è stato “non guardate chiese e moschee, la religione dell’albanese è l’albanesità (essere albanese)” versi di una poesia di Pashko Vasa poeta del Rinascimento albanese.
In sé, questi versi hanno anche l’intolleranza ma l’importante è stato ed è che hanno impedito la nascita dei conflitti religiosi.
Oggi, facendo la somma di questo slogan con il diritto religioso e con la tolleranza, ognuno può sforzarsi di immaginare:
- le uova colorate di Pasqua che si dividono e che si mangiano tra e dai cattolici, musulmani, ortodossi e altri,
- il “curban” del ramadan che viene diviso e dato ai più poveri, musulmani, ortodossi e altri che siano.
Questa è la tolleranza tra le religioni che ha caratterizzato un popolo con un carattere non facile. Indipendentemente da questo, gli albanesi nella loro storia non conoscono conflitti religiosi, sperando che mai la religione diventi un conflitto.
La riapertura religiosa degli albanesi ha presentato delle trasformazioni per quanto riguarda le generazioni presenti. I giovani sono moderati e poco influenzati dalla religione nel loro modo di vivere e di guardare il futuro.
Articolo 3 (costituzione albanese)
1. La sovranità dello Stato e la sua integrità territoriale, la dignità dell’'uomo, i diritti e le libertà, la giustizia sociale, il sistema costituzionale, il pluralismo, l'identità e l'eredità nazionale, la convivenza religiosa, e la comprensione degli Albanesi verso le minoranze sono il fondamento dello Stato, che ha l'obbligo di rispettarli e tutelarli.
Articolo 10 (costituzione albanese)
1. La Repubblica albanese non stabilisce una religione ufficiale.
2. Lo Stato è neutrale sulle questioni religiose e di coscienza e garantisce a tutti il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola nella vita pubblica.
3. Lo Stato riconosce l'uguaglianza tra le Comunità religiose.
4. Lo Stato e le Comunità religiose rispettano reciprocamente la loro indipendenza e collaborano per il bene di ognuno e di tutti.
5. I rapporti tra lo Stato e le Comunità religiose si regolano secondo gli accordi stipulati tra i loro rappresentanti e il Consiglio dei Ministri. Questi accordi vanno ratificati dall'Assemblea.
6. Le Comunità religiose sono persone giuridiche. Esse hanno autonomia di gestione dei loro patrimoni secondo i principi, le regole e i canoni a loro propri, perché non violino gli interessi dei terzi.
Accettare le differenze religiose, in questo caso non ci ha cambiato il modo di vivere, ma ci ha cambiato il punto di vista, per valutare e riflettere sul modo di vivere.
Tra storia e religione
Gli illiri, antenati degli albanesi, erano pagani. Credevano in tanti dei legati alla vita e alla morte e adoravano il sole.
Il tempio più antico è stato costruito nel 525 a.c.
Il catolicismo si è diffuso per la prima volta nell’anno 59 dopo Cristo.
In una opera scritta, il “Libro Pontificalis”, che si trova in Vaticano è scritto che dalle province illiriche sono saliti sul trono di San Pietro cinque Papi.
Il primo è stato Papa Eleutheri (182-193) da Nikopoja, il Vecchio Epiro. Il secondo è stato Papa Gaius (283 – 296), cucino di Imperatore Diokleacian di origini illiriche. Il terzo è stato Papa Inocencio (401 – 417) da Albani (Albanium) tra Durazzo e Dibra. Il quarto è stato Papa Joan (640 – 642) dalla Dalmazia. Il quinto è stato Papa Giovanni Francesco Albani nel 1700 conosciuto con il nome Clemente XI.
La religione ortodossa si è diffusa nel periodo Bizantino nell’anno 323 circa dopo Cristo.
Gli Illiri hanno dato al Cristianesimo un teologo, San Jeronimi, conosciuto con il nome Heronymus (340 – 420) nato a Stridono, al confine est della Dalmazia.
Anche l’autore del super inno cristiano “Te Deum” Niketa Cardani (330 – 414) è d’origine illirica.
La religione musulmana si è diffusa in Albania nel secolo XIV.
Tra le più antiche moschee d’Albania si conoscono quella di Varosh di Lezha (Lisus) che prima era la chiesa di Shenkoll (San Nicola). Anche la chiesa di Shen Stefani (Santo Stefano) a Shkoder (Scutari) dopo l’invasione turca è stata trasformata in una moschea (1479).
La moschea “Il Re” in Elbasan è stata costruita proprio per i fedeli musulmani nel 1492. La diffusione della religione musulmana ha contribuito, come anche negli altri paesi a mantenere strutture interne sociali quasi feudali.
La prima scuola cattolica documentata in lingua albanese è stata costruita in Velaj – Mirdite nel 1638.
Nel 1919 la commissione episcopale di Boston (America) ha dichiarato l’esistenza della chiesa autocefale di Shen Gjergji con vescovo Fan Stilian Noli.
Nel 1967 in Albania vengono chiuse, distrutte e trasformante per altre finalità tutte le chiese, le moschee, le scuole religiose.
Per 23 anni l’Albania è stata l’unico paese totalmente ateo nel mondo.
Nel 1990 dopo il movimento democratico sono state ricostruite tutte le chiese, le moschee e ripristinati tutti gli oggetti di culto, sono state aperte diverse scuole religiose , sono stati ricostruiti tutti i posti sacri distrutti durante la dittatura.
Il centro più importante di produzione iconografico è stato Berat e i pittori iconografici più conosciuti sono stati Onufrio, il figlio Nicola e Onufrio Ciprioti nel sec. XVII – XVIII.
[http://www.ilgalletto.net 9 maggio 2006]
2006/05/11
Borgo: manifesti razzisti contro gli Albanesi
Un vergognoso decalogo “detta le regole” agli abitanti di etnia albanese, lo sdegno della comunità mugellana
“Albanesi, salutate il superiore italiano”, “sottostate alle nostre regole”, “capite che siete nostri ospiti”, “lavatevi”. Questi alcuni dei “comandamenti” di un manifesto anonimo affisso nei giorni scorsi per le strade di Borgo San Lorenzo, rivolto appunto, cosi recita il titolo, “ai nostri carissimi albanesi”. ..
Giuseppe Marrani
[“il galletto” il giornale del Mugello e della Valdisieve, luglio 2004]
“Albanesi, salutate il superiore italiano”, “sottostate alle nostre regole”, “capite che siete nostri ospiti”, “lavatevi”. Questi alcuni dei “comandamenti” di un manifesto anonimo affisso nei giorni scorsi per le strade di Borgo San Lorenzo, rivolto appunto, cosi recita il titolo, “ai nostri carissimi albanesi”. ..
Giuseppe Marrani
[“il galletto” il giornale del Mugello e della Valdisieve, luglio 2004]
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